Medici specializzandi: la parola alle Sezioni Unite
Corte di cassazione, sezioni unite civili, 14 ottobre 2024, n. 26603 – pres. Cassano; rel. Rossetti.
All’attenzione delle sezioni unite della Corte di cassazione è giunta una questione conclusiva (e ancillare) della nota e risalente saga dei medici specializzandi privi di borsa di studio, ossia di coloro che abbiano svolto il corso di specializzazione medica sotto la vigenza delle direttive n. 75/362/CEE e 75/363/CEE (così come modificate dalle direttiva 82/76/CEE, entrata in vigore il 29 gennaio 1982), le quali avevano imposto agli Stati membri di prevedere che ai frequentanti delle scuole di specializzazione (almeno nelle discipline coperte dalle direttive) fosse corrisposta una adeguata remunerazione.
La Corte di giustizia dell’unione europea, con sentenza 3 marzo 2022, in causa C-590/20, ha stabilito che il regime anzidetto attiene al trattamento dei medici specializzandi a partire dalla scadenza (1° gennaio 1983) del termine di trasposizione della direttiva 82/76/CEE, a prescindere dal fatto che l’iscrizione a corsi di specializzazione preceda quella data [v. sul punto Cass. sez. un. 23 giugno 2022, n. 20278]. L’Italia – come è risaputo – ha dato tardiva e parziale attuazione alla direttiva 82/76/CEE solo con la legge 8 agosto 1991, n. 257.
Con ordinanza interlocutoria 4 marzo 2024, n. 5690, la prima sezione civile ha rimesso gli atti alla Prima Presidente, ai fini dell’assegnazione del ricorso alle sezioni unite, affinché fosse chiarito se questo diritto ad una remunerazione adeguata, previsto a favore dei sanitari che abbiano svolto l’attività di formazione dopo il 1° gennaio 1983 nelle discipline menzionate dalla direttiva, spetti anche ai medici che abbiano frequentato corsi di specializzazione di tipologia e durata conformi alla normativa europea e comuni a due o più Stati membri, diversi da quelli elencati agli artt. 5 e 7 della direttiva 75/362/CEE e non equipollenti ad essi, ma espressamente riconosciuti per la prima volta solo dalla normativa interna attuativa della direttiva n. 82/76/CEE. E ciò malgrado tale equivalenza, stabilita ai fini interni, sia dipesa dal d.m. 31.10.1991, e non possa perciò farsi risalire a prima dell’anno accademico 1991/92.
Il quesito risulta dirimente per l’accertamento o meno del diritto al risarcimento del danno per il ritardo nel recepimento della direttiva n. 82/76 anche in capo ai sanitari che rientrano in questa categoria di soggetti.
Nei precedenti della Corte, il risarcimento è anzitutto (e automaticamente) accordato laddove la specializzazione conseguita coincida con quelle previste negli artt. 5 o 7 della direttiva 75/363. Fuori di questa ipotesi, la giurisprudenza ha accordato comunque all’interessato la possibilità di ottenere riparazione provando l’equipollenza di fatto tra la specializzazione conseguita e quelle “comunitarie” di cui agli artt. 5 o 7, nonostante la differenza nominale.
Il dubbio residuava a proposito delle specializzazioni la cui equivalenza fosse dipesa da una scelta del legislatore italiano per il tramite di una fonte interna.
Le sezioni unite, nel ribadire che il diritto europeo non si occupa (e non si è mai occupato) del quantum dovuto ai frequentanti le scuole di specializzazione, hanno escluso che l’art. 8 della direttiva 75/362 – nel prescrivere un meccanismo di mutuo riconoscimento dei titoli – abbia imposto all’Italia un obbligo di prevedere una equipollenza tra specializzazioni diverse da quelle ricomprese nella direttiva.
La prima, parziale, attuazione alle direttive 75/362, 75/363 e 82/76 ha introdotto l’obbligo del tempo pieno solo per la formazione specialistica dei medici «ammessi alle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, di tipologia e durata conformi alle norme della comunità economica europea e comuni a due o più Stati membri» (art. 1, comma 1, d.lgs. n. 257 del 1991), e ha delegato il Ministro della sanità a formare l’elenco delle suddette specializzazioni (comma 2). Tanto è avvenuto col d.m. 31 ottobre 1991, che non ha portata retroattiva.
Sulla base di queste premesse, le sezioni unite concludono che «[n]on possono pretendere dallo Stato italiano il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie 75/362 e 75/363 e successive integrazioni, coloro i quali abbiano iniziato prima del 1991 una specializzazione non contemplata dalle suddette Direttive e di cui non sia dimostrata l’equipollenza di fatto alle specializzazioni ivi previste, a nulla rilevando che la specializzazione conseguita sia stata, in seguito, inclusa tra quelle qualificate “conformi alle norme delle Comunità economiche europee” dal d.m. 31 ottobre 1991».