ISSN 2785-552X

Verso la (ri-)contrattualizzazione della responsabilità sanitaria? Alcune osservazioni sulla proposta di legge n. 1321 all’esame della Camera

Mirko Faccioli 22 Luglio 2022

[Camera dei Deputati, p.d.l. n. 1321, presentata il 30 ottobre 2018, recante «modifiche alla legge 8 marzo 2017, n. 24, al codice di procedura civile e alle disposizioni per la sua attuazione nonché alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, in materia di responsabilità sanitaria»]

Abstract

Lo scritto analizza la proposta di legge n. 1321 in materia di responsabilità sanitaria attualmente all’esame della Camera dei Deputati.

This article analyses the law proposal n. 1321 on medical liability currently being examined by the Chamber of Deputies.

Sommario: 1. Introduzione: la proposta di modifica dell’art. 7 della Legge Gelli-Bianco; 2. Il riconoscimento normativo della responsabilità per difetto di organizzazione delle strutture sanitarie; 3. La riconduzione nell’alveo contrattuale della responsabilità del medico non direttamente contraente con il paziente; 4. La mancata riproduzione delle disposizioni dell’art. 7 della Legge Gelli-Bianco estranee al tema della natura della responsabilità sanitaria; 5. Conclusioni.

1. Introduzione: la proposta di modifica dell’art. 7 della Legge Gelli-Bianco

È da qualche mese iniziato alla Camera dei Deputati l’esame di una proposta di legge, la n. 1321 del 30 ottobre 2018, che mira a modificare la disciplina della responsabilità sanitaria contenuta nella c.d. Legge Gelli-Bianco (l. 8 marzo 2017, n. 24) nonché alcune disposizioni del codice di procedura civile e del codice di procedura penale sempre collegate alla materia della medical malpractice.

Tra le innovazioni previste dal d.d.l. spicca senz’altro per importanza la sostituzione dell’attuale formulazione dell’art. 7 della legge testé menzionata con un testo, rubricato «Contratto di assistenza sanitaria e responsabilità medica», del seguente tenore: «Le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private e l’esercente la professione sanitaria rispondono, nei confronti del paziente, ai sensi degli articoli 1218, 1223 e 1228 del codice civile. Le strutture sanitarie rispondono anche per i danni alle persone o alle cose derivanti dall’inadeguata organizzazione, dalla carenza e dall’inefficienza delle dotazioni o delle attrezzature delle medesime strutture sanitarie».

La prospettiva di una siffatta novella della Legge Gelli-Bianco suscita diverse riflessioni, delle quali si cercherà di fornire un quadro d’insieme nelle pagine che seguono.

2. Il riconoscimento normativo della responsabilità per difetto di organizzazione delle strutture sanitarie

Partendo dai rilievi di segno – almeno in qualche misura – positivo, alla proposta di legge può essere innanzitutto riconosciuto il merito di recepire nel diritto vigente, tramite la seconda frase dell’articolo in commento, la figura della responsabilità civile per c.d. difetto di organizzazione delle strutture sanitarie già da tempo riconosciuta dall’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale in materia di medical malpractice. Si tratta, beninteso, di un’operazione non necessaria, posto che al fine di fondare la responsabilità in esame è sempre stato sufficiente il ricorso alla disciplina generale del contratto e delle obbligazioni contenuta nel codice civile nonché, nei tempi più recenti, il riferimento, compiuto dall’art. 1 della stessa Legge Gelli-Bianco, all’esigenza di perseguire l’obiettivo della «sicurezza delle cure» (anche) mediante «l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative» a disposizione degli enti nosocomiali. La proposta di legge sarebbe, quindi, decisamente più utile se, anziché limitarsi a riconoscere la responsabilità per disfunzioni organizzative delle strutture sanitarie, scendesse a regolarne alcuni aspetti che appaiono controversi, specialmente in dottrina: primo fra tutti, il criterio di imputazione, che alcuni intendono in termini oggettivi secondo la logica della responsabilità d’impresa mentre altri improntano al principio della colpa generalmente applicato per valutare la responsabilità individuale dell’operatore sanitario. Va poi evidenziato che, sempre alla luce della sistemazione corrente della materia, anche il singolo professionista sanitario può essere coinvolto nelle fattispecie di responsabilità in esame ed essere chiamato a rispondere del difetto di organizzazione dell’ente nel quale egli opera, ciò che la proposta di legge invece omette di evidenziare nel momento in cui testualmente riferisce la responsabilità di cui si discute solamente alle strutture sanitarie e non anche al personale medico [su tutto questo, v. Faccioli, La responsabilità civile per difetto di organizzazione delle strutture sanitarie, Pacini, 2018].

3. La riconduzione nell’alveo contrattuale della responsabilità del medico non direttamente contraente con il paziente

Rispetto alla previsione sopra esaminata, si presenta senza dubbio più dirompente la prima parte del nuovo testo dell’art. 7 della Legge Gelli-Bianco contenuto nella proposta. Al di là di un richiamo all’art. 1223 c.c. francamente incomprensibile e di un rinvio all’art. 1228 c.c. tutto sommato superfluo, tale disposizione infatti riconduce all’ambito dell’inadempimento delle obbligazioni ex art. 1218 c.c. la responsabilità, oltre che delle strutture sanitarie, dell’esercente la professione sanitaria, considerando tale figura in termini generali ed onnicomprensivi: obiettivo dichiarato della norma è, come si legge nella relazione di accompagnamento al d.d.l., «rendere costituzionalmente accettabile […] la responsabilità civile del medico, facendola ritornare sotto l’alveo della responsabilità contrattuale». Ciò evidentemente presuppone che si ritenga contrastante con la Carta fondamentale l’attuale formulazione dell’art. 7, comma 3, della Legge Gelli-Bianco nella misura in cui stabilisce che, salva l’avvenuta stipulazione di un contratto con il destinatario della prestazione sanitaria, il medico risponde in via aquiliana; e in mancanza di ulteriori indicazioni nella relazione di accompagnamento, è facile immaginare che i redattori della proposta di legge reputino insufficiente la tutela offerta al paziente danneggiato dal regime della responsabilità extracontrattuale.

Il risultato della riforma sarebbe, pertanto, costituito da una sorta di restaurazione ex lege del regime pancontrattualstico della responsabilità del medico, anche non direttamente contraente con il paziente, in passato reso possibile dall’impiego giurisprudenziale della nota teoria del c.d. contatto sociale [per una disamina critica del quale, v. Castronovo, Responsabilità civile, Giuffrè, 2018, 521 ss.; Zaccaria, voce Contatto sociale, in Dig. disc. priv. – Sez. civ., Agg. XI, Utet, 2018, 85 ss.] e successivamente superato dallo stesso legislatore, dapprima – e in maniera, a dire il vero, alquanto incerta – con la disciplina dettata dall’art. 3 della c.d. Legge Balduzzi (l. 8 novembre 2012, n. 189) e in un secondo momento con la disposizioni attualmente contenute proprio nell’art. 7, comma 3, della Legge Gelli-Bianco [la questione è assai nota, anche al di fuori della cerchia di coloro che si occupano da vicino di questo settore della responsabilità civile: per una sintesi v., per tutti, Scognamiglio, Il nuovo volto della responsabilità del medico. Verso il definitivo tramonto della responsabilità da contatto sociale?, in Resp. med., 2017, 35 ss.; Id., Regole di condotta, modelli di responsabilità e risarcimento del danno nella nuova legge sulla responsabilità sanitaria, in Corr. giur., 2017, 740 ss.].

Orbene, a fronte di un così radicale ed estemporaneo mutamento di politica del diritto non si può che rimanere a dir poco perplessi, specie se si considera che la decisione di mettere fuori gioco la teoria del contatto sociale in ambito sanitario e qualificare come extracontrattuale la responsabilità del medico che non intrattiene un rapporto contrattuale diretto con il paziente era stata dichiaratamente motivata da un obiettivo, quello di contrastare il fenomeno della c.d. medicina difensiva [sul quale v., fra gli altri, Granelli, Il fenomeno della medicina difensiva e la legge di riforma della responsabilità sanitaria, in Resp. civ. e prev., 2018, 410 ss.; Marchisio, Evoluzione della responsabilità civile medica e medicina “difensiva”, in Riv. dir. civ., 2020, 189 ss.], che appare ben difficile immaginare sia stato nel frattempo debellato dall’avvento della Legge Gelli-Bianco, del resto avvenuto solamente cinque anni orsono.

Così come l’intervento realizzato con la legge da ultimo menzionata, solleva, inoltre, non pochi dubbi anche la rinnovata opzione del conditor iuris per una tecnica legislativa, da più parti a suo tempo additata come anomala, consistente nel qualificare in via normativa una categoria di ipotesi della realtà concreta sussumendola nel paradigma dell’inadempimento dell’obbligazione, anziché, come sarebbe normale che avvenga, predisporre la disciplina della medesima e lasciare all’interprete il compito di ricostruirla: se il fine ultimo della proposta di legge è, come sembra potersi intuire dal pur generico richiamo alla Costituzione contenuto nella relazione illustrativa, la predisposizione di un regime di responsabilità del medico più favorevole per il paziente rispetto a quello attuale, sarebbe certamente più appropriato e coerente con le prerogative del legislatore introdurre una disciplina speciale della responsabilità in discorso caratterizzata da proprie regole in materia di riparto dell’onere della prova, di durata del termine prescrizionale, di ambito del danno risarcibile, e così via, eventualmente costruite prendendo a modello quelle della responsabilità contrattuale [su questi aspetti, cfr. Scognamiglio, Il nuovo volto, cit., 40; Regole di condotta, cit., 747 s.].

Che la (ri-)contrattualizzazione della responsabilità del medico [rovesciando l’intitolazione del contributo di Calvo, La «decontrattualizzazione» della responsabilità sanitaria, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 453 ss.] divisata dalla proposta di legge costituisca un effettivo vantaggio per il paziente è, del resto, un ulteriore aspetto sul quale è lecito dubitare. Come è stato rilevato dalla più attenta dottrina, le peculiarità della responsabilità sanitaria fanno sì che le diversità in punto di onere della prova e di prescrizione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale possano non essere in grado di influenzare in maniera decisiva l’esito del processo in favore piuttosto che a sfavore della vittima di medical malpractice: dal punto di vista probatorio, le differenze appaiono fortemente ridimensionate dal sempre possibile impiego da parte della giurisprudenza, pure nell’applicazione dell’art. 2043 c.c., di meccanismi presuntivi in favore del paziente basati sul c.d. principio di vicinanza della prova e sul brocardo res ipsa loquitur nonché dagli accertamenti sulla responsabilità del professionista compiuti in sede di consulenza tecnica; per quanto poi concerne la prescrizione, va rilevato che il paziente, anche nell’improbabile ipotesi in cui decidesse di agire a distanza di più di cinque anni dall’evento lesivo sotto il regime aquiliano, verrebbe comunque a giovarsi di un orientamento giurisprudenziale, a lui particolarmente favorevole, che ricollega il dies a quo in materia di danno alla salute al momento dall’esteriorizzazione dello stesso quale oggettivamente percepibile e riconoscibile dal danneggiato non solo come lesione della propria integrità psicofisica, ma anche sotto il profilo della riferibilità causale al contegno di uno o più responsabili [per queste considerazioni v., fra gli altri, Pardolesi, Chi (vince e chi) perde nella riforma della responsabilità sanitaria, in Danno resp., 2017, 265; Franzoni, La nuova responsabilità in ambito sanitario, in Resp. med., 2017, 10 s.; Granelli, La riforma della disciplina della responsabilità sanitaria: chi vince e chi perde?, in Contratti, 2017, 381; Salanitro, Sistema o sottosistema? La responsabilità sanitaria dopo la novella, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 1681 s.]. Tutto questo senza contare che la riconduzione della responsabilità del medico all’ambito extracontrattuale comporta addirittura un vantaggio per il paziente nel momento in cui gli attribuisce la possibilità, normalmente esclusa in ambito contrattuale dall’art. 1225 c.c., di pretendere il risarcimento dei danni imprevedibili.

4. La mancata riproduzione delle disposizioni dell’art. 7 della Legge Gelli-Bianco estranee al tema della natura della responsabilità sanitaria

A tutto quanto finora visto va poi aggiunto che l’attuale formulazione dell’art. 7 della Legge Gelli-Bianco non si limita a disciplinare la natura della responsabilità medica.

In luogo del generico e sostanzialmente inutile rinvio all’art. 1228 c.c. effettuato dalla proposta di legge in esame, i primi due commi della norma vigente dettano importanti precisazioni circa la sfera di applicazione della responsabilità del debitore per fatto degli ausiliari nell’ambito sanitario, estendendo il campo di applicazione dell’istituto al di là dei limiti che lo caratterizzano secondo l’interpretazione tradizionale. Risolvendo diversi dubbi ermeneutici suscitati dalla disciplina codicistica, l’art. 7 della Legge Gelli-Bianco in particolare stabilisce che vanno considerati ausiliari della struttura sanitaria ai sensi dell’art. 1228 c.c.:  il medico libero professionista di fiducia del paziente che, avvalendosi delle apparecchiature nonché del personale paramedico e infermieristico messogli a disposizione dall’ente, al quale egli non è però legato da alcun rapporto di lavoro o di servizio, provvede personalmente ad eseguire il trattamento sanitario sulla base di un contratto d’opera professionale personalmente stipulato con il malato; il  medico pubblico dipendente nel corso dello svolgimento di attività libero-professionale intramoenia, della quale è controversa la riferibilità all’ambito dell’attività istituzionale coinvolgente la responsabilità dell’amministrazione sanitaria; il medico che opera in regime di convenzione con il S.S.N., l’attività del quale sarebbe assai difficilmente riconducibile all’amministrazione medesima laddove si faccia applicazione dei principi generali in materia di responsabilità vicaria desumibili dagli artt. 1228 e 2049 c.c. [su questi aspetti v., amplius, Faccioli, La nuova disciplina della responsabilità sanitaria di cui alla legge n. 24 del 2017 (c.d. “Legge Gelli-Bianco”): profili civilistici (Prima parte), in St. iuris, 2017, 659 ss.; Cerdonio Chiaromonte, Responsabilità per fatto degli ausiliari e incarico contrattuale diretto al medico: il dubbio ruolo della casa di cura privata, in Riv. dir. civ., 2017, 489 ss.; Bachelet, Il rapporto tra ASL e medico di base nel sistema riformato della responsabilità sanitaria, in Riv. dir. civ., 2017, 777 ss.].

Il comma 4 dell’art. 7 della Legge Gelli-Bianco prevede poi che il danno conseguente a medical malpractice vada risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del cod. ass. priv. di cui al d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, incidendo quindi sul profilo della quantificazione del risarcimento del danno da responsabilità sanitaria. Dello stesso tema si occupa pure la seconda parte del comma 3 della norma, la quale istituisce una correlazione fra il quantum del risarcimento spettante al paziente danneggiato e le modalità soggettive della condotta tenuta dal professionista sanitario con riguardo all’obbligo, contenuto nell’art. 5 del provvedimento, di attenersi alle raccomandazioni contenute nelle linee guida pubblicate nel sito internet dell’Istituto superiore di sanità oppure, in loro mancanza, alle buone pratiche clinico-assistenziali [per maggiori ragguagli in argomento, v. Faccioli, La quantificazione del danno nella responsabilità sanitaria secondo la Legge Gelli-Bianco (art. 7, commi 3 e 4, l. n. 24 del 2017), in Contr. e impr., 2020, 1045 ss.; Astone, La nuova disciplina del danno non patrimoniale da illecito sanitario e l’art. 7, commi 3 e 4, della legge n. 24/2017, in Resp. civ. e prev., 2019, 742 ss.; Guffanti Pesenti, Il ruolo della condotta del medico nella quantificazione del risarcimento. Note sull’art. 7, co. 3, l. 8-3-2017 n. 24, in Eur. dir. priv., 2017, 1499 ss.; Sacconi, Condotta dell’esercente la professione sanitaria e quantificazione del risarcimento, in Resp. civ. e prev., 2018, 1351 ss.].

L’ultimo comma dell’art. 7 della Legge Gelli-Bianco, infine, attribuisce natura imperativa «ai sensi del codice civile» alle disposizioni finora esaminate, con l’effetto di comminare la nullità – per fare solo un esempio, in ampia misura peraltro già deducibile dall’art. 1229 c.c. – delle clausole, eventualmente inserite nel contratto stipulato dal paziente con il nosocomio e/o il professionista sanitario, che escludano o limitino la responsabilità di questi ultimi [Salanitro, op. cit., 1680, nt. 21].

In questa sede non è certo possibile soffermarsi a valutare la bontà e la razionalità di tutte le disposizioni testé riferite. Ciò che però preme evidenziare è che le stesse non vengono riprese dalla proposta di legge e sarebbero pertanto destinate a scomparire dall’ordinamento con l’approvazione della medesima: le ragioni di tale scelta, di nuovo in contrasto con le opzioni di politica del diritto esercitate dal legislatore solo qualche anno addietro, non vengono esplicitate dalla relazione di accompagnamento al d.d.l. ed appaiono, invero, assai difficili da comprendere per chi voglia approcciarsi alla materia con un minimo di razionalità.

5. Conclusioni

La responsabilità civile sanitaria è recentemente entrata in un processo di profondo cambiamento: nel giro di pochi anni, alle innovazioni introdotte in via normativa dalla Legge Gelli-Bianco (e prima ancora dalla Legge Balduzzi) nonché dalla l. 22 dicembre 2017, n. 219 in tema di consenso informato [sulla quale v. Salanitro, Il consenso, attuale o anticipato, nel prisma della responsabilità medica, in Nuove leggi civ. comm., 2019, 125 ss.] si è aggiunto il restatement giurisprudenziale operato dalle note pronunce della Suprema Corte di “San Martino 2019” [Cass., 11 novembre 2019, nn. 28985-28994, tutte pubblicate e commentate in Pardolesi (a cura di), Responsabilità sanitaria in Cassazione: il nuovo corso tra razionalizzazione e consolidamento, fasc. spec. n. 1/2020 della rivista Il foro italiano], che nel confronto con l’elaborazione dottrinale si erano sforzate di creare un complesso di regole e di principi in tema di medical malpractice condiviso dalla comunità degli interpreti e capace di assicurare la prevedibilità e la controllabilità delle future decisioni in materia.

Proprio quando stava entrando nel vivo l’approfondimento dottrinale delle pronunce di cui sopra, la pandemia da Covid-19 ha nuovamente scosso il mondo della responsabilità sanitaria sollevando l’interrogativo circa la necessità dell’introduzione di una disciplina ad hoc per affrontare il contenzioso giudiziario che prevedibilmente scaturirà dalle vicende coinvolgenti pazienti affetti dal virus: interrogativo poi risolto in senso negativo dalla grande maggioranza degli studiosi [cfr. il documento dell’Associazione Civilisti Italiani Una riflessione ed una proposta per la migliore tutela dei soggetti pregiudicati dagli effetti della pandemia], i quali non hanno peraltro mancato di evidenziare come le controversie scatenate dalla pandemia senz’altro condurranno ad ulteriori aggiustamenti e risistemazioni dello strumentario giuridico attualmente esistente [v., fra i tanti, Scognamiglio, La pandemia Covid-19 tra funzioni della responsabilità civile e modelli indennitari, in Jus, 2021, 131 ss.; D’Adda, Pandemia e modelli «dogmatici» di responsabilità sanitaria, in Riv. dir. civ., 2021, 451 ss.].

Da ultimo, merita di essere altresì evidenziato che le soluzioni implementate, in via legislativa o pretoria, nel settore della responsabilità sanitaria hanno non di rado importanti ricadute di ben più ampia portata su profili generali dell’obbligazione e della responsabilità civile, producendone una sorta di “medicalizzazione” [Benedetti, Verso una “medicalizzazione” della responsabilità contrattuale? Esercizi di discutibile riscrittura dell’art. 1218 c.c., in Giustizacivile.com, Nota a sentenza del 28 gennaio 2020] della quale è molto spesso difficile prevedere l’ambito, le dimensioni e la portata pratica: ciò che evidentemente costituisce una ragione in più per impiegare attenzione e prudenza nell’apportare modifiche alle norme di legge che disciplinano la medical malpractice.

Alla luce di tutto quanto sopra considerato, appare, quindi, piuttosto agevole concludere che il comparto della responsabilità sanitaria di tutto può avere bisogno tranne che di essere ulteriormente riformato con una disposizione scarna, problematica e dalle motivazioni per larga parte incomprensibili qual è quella prevista dalla proposta di legge n. 1321 con riguardo all’art. 7 della Legge Gelli-Bianco.

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di Mirko Faccioli
Professore associato di Diritto privato
mirko.faccioli@univr.it

 

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