ISSN 2785-552X

Polizze Unit Linked: natura del negozio e principio del «doppio binario»

Francesco Tonini 22 Febbraio 2022

Trib. Bergamo, sez. IV, sentenza 6 dicembre 2021, n. 2271; Giudice Panzeri

[Polizze unit linked – natura – contratto assicurativo – intermediazione della polizza ad opera di broker e agenti assicurativi – applicabilità dei doveri informativi degli intermediari finanziari – esclusione] 

MassimaIn tema di polizze unit linked, il negozio, pur se connotato dall’assunzione di un rischio demografico molto limitato e pur se non garantisce nemmeno parzialmente la restituzione del capitale investito, non è qualificabile quale prodotto finanziario tout court, ma resta un prodotto assicurativo ed è classificabile quale Polizza di Ramo Vita III ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a), del codice delle assicurazioni private. Inoltre, in caso di collocamento di polizze vita unit linked, la normativa del testo unico finanziario e dei Regolamenti Consob trova applicazione solamente laddove il prodotto sia distribuito dai soggetti abilitati ai sensi del t.u.f. (art. 1, comma 1, lett. r) e non dagli intermediari assicurativi, come i broker e gli agenti assicurativi. (massima non ufficiale) 

 Fatto – nell’anno 2012 un risparmiatore acquistava, versando il relativo premio, la polizza di assicurazione sulla vita – ramo III – denominata «La Signature Bond Plus», prodotto finanziario-assicurativo del tipo unit linked, emesso da una compagnia assicurativa comunitaria e distribuito in Italia da broker assicurativi, regolarmente iscritti alla sezione B del Rui. Trattandosi di polizza unit linked, la prestazione assicurativa (non garantita dall’emittente in ragione della natura oscillante del valore degli attivi investiti) era determinata in base al 101% del valore registrato, al momento dell’erogazione, da quote di fondi di investimento acquistate con i premi versati. A partire dall’ottobre 2015, l’emittente informava il risparmiatore di non poter fare fronte alle richieste di riscatto della polizza per mancanza di valore di scambio degli attivi sottostanti. Il risparmiatore adiva quindi il Tribunale di Bergamo facendo valere nei confronti dell’emittente la nullità della polizza ex art. 23, commi 1 e 3, del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 («t.u.f.») per mancanza del contratto quadro, e denunciando la responsabilità per inadempimento della convenuta in ragione della mancata valutazione di adeguatezza dell’investimento e dell’assenza di informativa circa la natura e qualità dei prodotti finanziari sottostanti. A seguito delle difese dell’emittente, il ricorrente chiamava in causa anche gli intermediari che avevano materialmente collocato la polizza al risparmiatore e la società gestore del fondo collegata alla polizza, formulando nei loro confronti domande di risarcimento danni.  

Questioni – Il Tribunale adito ha delibato l’iniziativa attorea, rigettandola, sulla base della risoluzione di due decisive questioni. La prima, inerente alla rilevanza – ai fini della qualificazione della polizza di causa in termini di prodotto assicurativo ovvero di prodotto finanziario – dell’omessa garanzia di restituzione del capitale e dell’assunzione di un rischio demografico poco rilevante (1%). La seconda, inerente all’applicabilità o meno delle regole del t.u.f. e dei Regolamenti Consob alla distribuzione dei contratti assicurativi finanziari da parte degli intermediari assicurativi.  

A) Con riferimento al primo interrogativo, la decisione dà continuità al principio espresso da parte della giurisprudenza di merito (e inaugurato da due note pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, v. infra) secondo cui le polizze unit linked, anche laddove non garantiscano neppure in parte la restituzione del capitale investito, non possono essere considerate prodotti finanziari tout court, rimanendo a tutti gli effetti dei prodotti assicurativi sulla vita (ramo III), seppure a componente causale mista, finanziaria ed assicurativa sulla vita. La qualificazione del prodotto quale Polizza di Ramo Vita III ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a), del codice delle assicurazioni private, impone conseguentemente l’applicazione delle norme di condotta di tale codice (in particolare, artt. 120 e 183), nonché di quelle contenute nel Regolamento Isvap n. 35 del 26 maggio 2010 (e successive modifiche), escludendo, viceversa, l’applicazione della normativa prevista dal t.u.f. per gli intermediari finanziari. 

B) Qualificata la polizza di causa come prodotto assicurativo, la decisione (in aderenza alla regola del c.d. «doppio binario») afferma poi che la normativa t.u.f. (art. 25 bis) e regolamentare (art. 83 Regolamento Consob, 29 ottobre 2007, n. 16190) trova applicazione, in caso di collocamento di polizze vita unit linked, solamente laddove il prodotto sia distribuito dai soggetti abilitati ai sensi del t.u.f. (art. 1, comma 1, lett. r) e non dagli intermediari assicurativi, come i broker e gli agenti assicurativi. In tali ipotesi, afferma il Tribunale, l’attività di intermediazione del prodotto è disciplinata dalle norme del Codice delle Assicurazioni private e dalle disposizioni di Ivass. Una tale conclusione è giustificata dal Tribunale secondo un duplice ordine di motivi. Anzitutto, viene rilevato come non sarebbe possibile sottoporre alla vigilanza della Consob gli operatori della distribuzione assicurativa tradizionale (avendo la stessa Consob, tra l’altro, riconosciuto che agenti e broker non possono essere attratti sotto la propria vigilanza, dovendo quindi essere esclusi dalla sfera di operatività del t.u.f.). Inoltre, la conclusione non sarebbe comunque dannosa nei confronti del cliente, il quale, sia nel caso in cui acquisti la polizza da un soggetto abilitato all’intermediazione finanziaria ovvero da un broker assicurativo, è comunque protetto da un sistema di norme regolamentari e dalla supervisione di un’autorità di vigilanza.  Ciò posto, il Tribunale, qualificando la polizza come prodotto assicurativo e in applicazione della regola del «doppio binario», rigetta conseguentemente tutte le domande del ricorrente sia nei confronti dell’emittente che degli intermediari convenuti, rilevando come il broker, chiamato a rispettare il codice delle assicurazioni private (cfr. ivi artt. 120 e 183) nonché il Regolamento Isvap, 11 giugno 2009, n. 32, si fosse attenuto alle indicazioni regolamentari prescritte.  

PrecedentiA) Con riferimento alla prima questione affrontata, il Tribunale, in contrasto con l’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui, affinché un contratto possa essere qualificato come assicurazione, sarebbe necessario il «trasferimento del rischio dall’assicurato all’assicuratore» (v. Cass. 5 marzo 2019, n. 6319, in Giur. Comm., 2019, 6, II, 1304), ha invece sancito la natura assicurativa della polizza unit linked oggetto di causa, pur contenente un rischio demografico poco rilevante (1%) e l’assenza di garanzia di restituzione del capitale. Sul punto, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è intervenuta in modo netto affermando che «i contratti detti unit linked oppure collegati a fondi di investimento … sono normali in diritto delle assicurazioni» (C. giust., 1° marzo 2012, causa C-166/11, in Resp. civ. e prev., 2012, VI, 1871, con nota di Piras; C. giust., 30 maggio 2018, causa C-542/16, in Foro it., 2018, 7-8, IV, 381). Per la Corte di Giustizia, interpretando la normativa comunitaria rilevante (v. all. I, punto III, Direttiva 79/267/CEE del Consiglio che individua come assicurazioni del ramo III «le assicurazioni di cui all’articolo 1, punto 1, lettere a) e b), connesse con fondi d’investimento») la pura e semplice pattuizione di una «prestazione assicurativa» (per l’ipotesi di «decesso dell’assicurato o del verificarsi di un altro evento di cui al contratto in discorso»), è il minimo comun denominatore delle diverse tipologie delle «operazioni di assicurazione», senza che occorra verificare la ricorrenza di altri elementi. Per inciso, si segnala che tale indirizzo del giudice sovranazionale è stato fatto proprio anche dal legislatore europeo, che con la Direttiva 2014/65/UE («MiFid II») ha introdotto nel sistema la nozione di «prodotto di investimento assicurativo», nel cui perimetro rientrano anche le polizze linked

Proprio in virtù dei principi espressi dalla Corte di Giustizia (i.e. l’irrilevanza dell’allocazione del rischio e della garanzia di restituzione del premio, nonché l’assoluta assenza di valutazioni sul rischio finanziario dei fondi sottostanti la polizza in presenza del binomio premio/prestazione), il Tribunale di Bergamo, in ragione dell’efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia, ha qualificato la polizza di causa in termini di contratto di assicurazione del ramo III, e non già in termini di prodotto finanziario puro. V. in tal senso anche Trib. Milano, 30 settembre 2021, inedita; Trib. Bergamo, 23 luglio 2021, in www.dirittobancario.it; Trib. Roma, 28 maggio 2021, inedita; Ctr Lombardia, 17 maggio 2021, nn. 1864/14/2021 e 1865/14/2021, in www.ilsole24ore.it; App. Milano, 30 novembre 2020, n. 3130, in Dejure; Trib. Viterbo, 16 settembre 2020, n. 939, inedita; App. Milano, 4 agosto 2020, n. 2044, inedita; Trib. Firenze, 11 febbraio 2020, n. 407, in DeJure; Trib. Brescia, 13 giugno 2018, inedita; Trib. Bolzano, 4 settembre 2017, inedita. In particolare, secondo Trib. Firenze, 11 febbraio 2020, n. 407, cit., rientrano nella fattispecie tipica di cui all’art. 1882 c.c., le polizze che operano la sostituzione della prestazione fissa dell’assicuratore con una variabile, agganciata a parametri di mercato, ma che mantengono comunque il rischio demografico; in tal caso, pur attuandosi un parziale trasferimento del rischio dall’assicuratore sull’assicurato in ordine al valore finale della prestazione, il contratto mantiene comunque una funzione assicurativa, individuabile quale causa concreta del contratto, secondo gli ordinari criteri ermeneutici. 

Come accennato, l’orientamento non è tuttavia pacifico, e trova riscontro solamente in una parte della giurisprudenza di merito (sopra richiamata). Viceversa, altre decisioni (sempre di merito), facendo leva anzitutto sui principi espressi dalla Corte di legittimità (v. infra), ravvisano un valido contratto di assicurazione sulla vita soltanto in presenza di una garanzia di restituzione (almeno parziale) del capitale e l’assunzione, da parte della compagnia, di un rischio demografico significativo (v. in tal senso App. Catanzaro, 5 novembre 2021, n. 1433, in www.dirittodelrisparmio.it; App. Torino, 1° giugno 2021, n. 606, in DeJure; Trib. Macerata, ord., 23 giugno 2020, inedita; Trib. Cuneo, 25 febbraio 2020, inedita).  

A tal riguardo, va infatti specificato che secondo la Cassazione, la differenza tra polizze assicurative e contratti di intermediazione finanziaria starebbe proprio nella garanzia della conservazione del capitale alla scadenza concordata tra le parti. Pertanto, qualora difetti la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza, il prodotto oggetto dell’intermediazione dovrebbe essere considerato un vero e proprio investimento finanziario da parte degli assicurati e non una polizza sulla vita (v. in tal senso Cass., 30 aprile 2018, n. 10333, in Foro it., 2018, 10, I, 3173, con nota di Candiani). L’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di polizze unit linked, caratterizzate dalla componente causale mista, finanziaria e assicurativa sulla vita, impone pertanto al giudice di merito di interpretare il contratto al di là del nomen iuris attribuitogli (Cass., 18 maggio 2021, n. 13517, in Guida al diritto 2021, 23; Cass., 31 agosto 2021, n. 23653, in DeJure; Cass., 18 aprile 2012, n. 6061, in Foro it., 2013, 2, I, 631, con nota di Bechi). Dunque, il contratto è da identificare come polizza assicurativa sulla vita quando il rischio avente ad oggetto un evento dell’esistenza dell’assicurato è assunto dall’assicuratore, mentre si concreta nell’investimento in uno strumento finanziario quando il rischio di performance sia per intero addossato all’assicurato. Con particolare riferimento al rischio demografico il giudice di merito deve quindi valutare l’entità della copertura assicurativa, desumibile dall’ammontare del premio versato dal contraente rispetto al capitale garantito, dall’orizzonte temporale e dalla tipologia dell’investimento (v. Cass., 5 marzo 2019, n. 6319, cit.). L’attività interpretativa è dunque chiamata a valutare se le pattuizioni contrattuali soddisfino le previsioni dell’art. 9 Regolamento Isvap n. 32/2009, che all’art. 9 prevede che: «1. I contratti classificati nel ramo III … sono caratterizzati dalla presenza di un effettivo impegno da parte dell’impresa a liquidare prestazioni il cui valore sia dipendente dalla valutazione del rischio demografico“, nonché che: “2. Le imprese nella determinazione delle coperture assicurative in caso di decesso tengono conto, ai fini del rispetto del principio di cui al comma 1, dell’ammontare del premio versato dal contraente» (cfr. in tal senso anche l’omologo testo dell’art. 6 del Regolamento Isvap, 16 marzo 2009, n. 29).  

Date queste premesse, occorre peraltro precisare che, relativamente a tali polizze unit linked, ove il rischio sia interamente addossato al contraente, l’orientamento di legittimità ritiene nulla la stipulazione contrattuale per difetto di causa; qualora, invece, il rischio sia prevalentemente a carico del contraente, e la componente finanziaria risulti prevalente rispetto a quella assicurativa, si è in presenza di un contratto con causa mista, con conseguente applicazione della disciplina contrattuale prevalente.  

B) Con riferimento poi al principio del «doppio binario», come indicato, l’estensione prevista dall’art. 25 bis del t.u.f., comma 1, (relativa all’applicazione degli artt. 21 e 23 di tale testo alla sottoscrizione e al collocamento dei prodotti finanziari assicurativi emessi dalle banche e dalle compagnie assicurative) si applica esclusivamente nei confronti delle imprese di assicurazione e dei c.d. soggetti abilitati definiti dal t.u.f. all’art. 1, c. 1, lett r). Viceversa, gli agenti e i broker assicurativi non rientrano nella categoria dei «soggetti abilitati» ai sensi del t.u.f. o degli «intermediari finanziari» ai sensi del Regolamento Intermediari (art. 83 Reg. n. 16190/2007), e conseguentemente devono essere sottoposti alla disciplina del Codice delle assicurazioni e alle disposizioni Ivass. Ne discende che, se il prodotto assicurativo di investimento viene distribuito dalle imprese di assicurazione direttamente oppure attraverso «soggetti abilitati» (tassativamente elencati, tra essi, Sim, banche e intermediari finanziari) trovano certamente applicazione le norme t.u.f. e, in particolare, quelle di cui agli artt. 21 e 23 del Reg. n. 16190/2007 che all’art. 37 richiede la sottoscrizione da parte del contraente, del contratto quadro scritto a disciplina dei servizi di investimento. Al contrario, se il medesimo prodotto viene distribuito attraverso i canali assicurativi tradizionali (in particolare attraverso broker assicurativi) non possono trovare applicazione le citate norme del t.u.f. e del Regolamento Intermediari. Sotto questo profilo, si evidenzia che un sempre più considerevole orientamento di merito ha ormai fatto proprio il menzionato principio del «doppio binario» appena indicato (v. in tal senso, Trib. Bergamo 23 luglio 2021, cit., Trib. Viterbo 16 settembre 2020, n. 939, cit.; App. Brescia, 1° luglio 2020, n. 671, inedita; Trib. Roma 28 maggio 2021, cit.; App. Milano 4 gennaio 2017, n. 21, in DeJure; Trib. Bergamo 21 novembre 2019, n. 2426, inedita; Trib. Bergamo, ord., 12 novembre 2019, inedita; Trib. Padova 11 settembre 2017, inedita; nonché Trib. Roma, 28 maggio 2021, cit., che ha definitivamente sovvertito l’orientamento contrario dello stesso Tribunale, v. Trib. Roma, ord., 26 agosto 2020, inedita). Una tale interpretazione, che riprende in larga parte le osservazioni della dottrina (v. infra) e l’orientamento della Corte di Giustizia UE (v. C. giust., 30 maggio 2018, causa C-542/16, cit.), viene giustificata sulla scorta del tenore dell’art. 25-bis t.u.f., comma 2 (vecchia formulazione) a mente del quale «la Consob esercita sui soggetti abilitati e sulle imprese di assicurazione i poteri di vigilanza regolamentare, informativa e ispettivi previsti» dalle norme t.u.f., e sulla lettera w-bis dell’art. 1, comma 1, t.u.f., che ha introdotto nel t.u.f. la definizione di prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione.  

In senso contrario, si è osservato che, per quanto la richiamata lettera w-bis sia stata introdotta solo con d. lgs. 29 dicembre 2006, n. 303, la disposizione avrebbe valore meramente descrittivo di una delle tipologie di prodotti finanziari qualificabili come tali anche prima dell’intervento legislativo (Trib. Rimini, 7 febbraio 2020, n. 117, in DeJure). Così anche Trib. Bologna, n. 116/2011, (richiamata da Trib. Rimini, 7 febbraio 2020, n. 117, cit.): «la struttura finanziaria di questa polizza (che appartiene alla tipologia delle polizze unit linked, socialmente diffuse) contraddice la finalità propria del contratto di assicurazione, e di questo si è effettivamente reso conto il legislatore, introducendo dapprima l’art. 25 bis nel testo unico 58 del 1998, che ha espressamente esteso l’applicazione degli artt. 21 e 23 tuf “alla sottoscrizione e al collocamento di prodotti finanziari emessi dalle banche, nonché, in quanto compatibili, da imprese di assicurazioni”, quindi la lettera w-bis all’art. 1 comma 1, che contiene la nozione di “prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazioni”, così completando la disciplina della materia». Sul punto, quanto al richiamato orientamento della Corte di Giustizia, si è altresì osservato che «quand’anche si dovesse ritenere che la giurisprudenza della Corte di Giustizia avesse ritenuto il contratto di assicurazione di tipo unit linked o comunque collegato al rendimento di un fondo di investimento escluso dall’ambito della normativa comunitaria in tema di tutela dell’investitore dai rischi del mercato, ciò non escluderebbe la possibilità, per l’ordinamento del singolo Stato membro dell’Unione, di assicurare al consumatore investitore, in quanto parte debole del contratto, mediante le disposizioni di diritto interno attuative della direttiva comunitaria, una protezione maggiore di quella riconosciuta a livello comunitario» (App. Bologna n. 335/2018, sempre richiamata da Trib. Rimini, 7 febbraio 2020, n. 117, cit.). Dunque, se l’intento dell’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia è quello di accrescere la tutela dei consumatori nel settore dell’intermediazione assicurativa, a fortiori, secondo l’orientamento di merito appena richiamato, deve ritenersi senz’altro applicabile la normativa del testo unico finanziario alle polizze unit linked

Nota bibliografica – Il menzionato principio del «doppio binario» (come anticipato) trova la sua genesi nell’interpretazione fornita dalla più attenta dottrina. Sono proprio gli argomenti della dottrina ad essere, infatti, ripresi da ultimo anche dalla sentenza in commento. In particolare, viene rilevato come in assenza di un tale principio, si finirebbe per applicare obblighi di condotta su cui la Consob è chiamata a verificarne il rispetto, a soggetti – gli intermediari assicurativi tradizionali, ovvero agenti e broker – che non sono sottoposti alla vigilanza della Consob (v. in tal senso Siri, I prodotti finanziari assicurativi nella prospettiva del Testo Unico della Finanza, in I prodotti finanziari, bancari e assicurativi – Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, Aracne, 2013, 319, 175 e ss.; nonché D’Ostuni, Sottoscrizione e collocamento di prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione, in La MiFID in Italia – La nuova disciplina dei mercati, servizi e strumenti finanziaria, a cura di Zitiello, Itaedizioni, 2009, 651 e ss.). Ed infatti, l’art. 25 bis, comma 2, del t.u.f. (vecchia formulazione, ora art. 25-ter, comma 2, t.u.f.), chiarisce che alla Consob, anche in relazione ai prodotti finanziari-assicurativi, spetta l’esercizio della vigilanza regolamentare, informativa ed ispettiva, ma solo limitatamente ai soggetti abilitati e alle imprese di assicurazione. Se questi sono gli unici destinatari dell’attività di vigilanza della Consob, non v’è dubbio allora che anche il primo comma del menzionato art. 25 bis, t.u.f., debba trovare applicazione solo all’attività svolta da tali soggetti. Vale allora l’inapplicabilità del t.u.f. e dei suoi regolamenti quando l’attività di intermediazione delle polizze finanziarie-assicurative è effettuata da agenti assicurativi e broker (si veda a riguardo Zitiello (a cura di), I prodotti finanziari assicurativi, un’analisi ragionata della giurisprudenza, Ipsoa, 2014, 99). Inoltre, il principio del «doppio binario» è pure confermato dagli ultimi interventi normativi (d. lgs. del 21 maggio 2018, n. 68 attuativo della Direttiva 2016/97/UE – «IDD», Insurance Distribution Directive) e dai limiti operativi dell’Arbitro per le controversie finanziarie («Acf»). Sotto il primo profilo, cfr. Manes, Commento all’art. 25 ter, in Commentario breve al Testo Unico della Finanza a cura di Calandra e Buonaura, Cedam, 2020, 173-178: «Attraverso il recepimento della direttiva IDD e la modifica del presente [art. 25ter t.u.f], è stata definitivamente risolta l’incertezza normativa che prima caratterizzava gli IBIP [Insurance based investment product nda]: attraverso il richiamo al CAP [Codice Assicurazioni Private nda] operato al co. 1, essi sono infatti posti sotto la stessa disciplina degli altri prodotti assicurativi e soggetti alle regole previste all’interno del CAP, fra cui quelle riferite alla nuova informativa precontrattuale di cui al novellato art. 185 CAP. […]». Il d. lgs. del 21 maggio 2018, n. 68 attuativo della Direttiva 2016/97/UE (IDD, Insurance Distribution Directive), ha, infatti, modificato il t.u.f. con l’introduzione dell’articolo 25-ter, in forza del quale «la distribuzione dei prodotti d’investimento assicurativi è disciplinata dalle disposizioni di cui al Titolo IX del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 [il CAP nda], e dalla normativa europea direttamente applicabile». Sotto il secondo profilo, anche l’Acf ha delineato specifici limiti di competenza per la risoluzione delle controversie in tema di intermediazione (anche di polizze unit linked) e l’ha esclusa già da tempo in relazione a prodotti collocati da intermediari assicurativi, sul presupposto che gli stessi sono soggetti a una normativa e a un’autorità diversa, che è quella dell’Ivass (cfr. relazione Acf anno 2019).

di Francesco Tonini
Dottorando di ricerca nell’Università di Pavia e Avvocato in Milano
francesco.tonini01@universitadipavia.it

SCARICA IL DOCUMENTO IN PDF